Il combattimento non è altro che un gioco preso sul serio. (Bruce Lee)
Con il titolo Displaycement Flussi 2013 individua un percorso di ricerca che si vuole collocare allo stesso tempo all’interno e al di fuori della riflessione sulla cultura digitale. Se infatti non possiamo ormai che dare per acquisito il passaggio epocale verso un regime mediale innervato e strutturato dalle tecnologie digitali (con tutte le relative conseguenze in termini sociali, cognitivi, estetici, politici, ecc..), siamo anche consapevoli dell’indebolimento progressivo della retorica, delle utopie e del sistema di credenze che hanno sostenuto e accompagnato la sua prima fase.
La socialità delle reti produce contemporaneamente un allargamento della sfera comunicativa e delle possibilità d’azione dell’individuo e dei gruppi ma al contempo si rovescia in forme raffinatissime di controllo e di profilazione non più basate sulla repressione e la disciplina ma sul piacere e la libera condivisione (I like!) , il tutto ad uso e consumo dei grandi attori del marketing globale; la libera circolazione della “creatività” e del lavoro spontaneo sono ricatturate in nuove strategie di valorizzazione e sfruttamento; le forme visive e sonore della sperimentazione digitale sono pienamente captate dal sistema spettacolare dell’immaginario e fatte ricircolare nel mercato sotto forma di plug-in e apps.
Vecchi guru si ricredono decretando la fine della rivoluzione digitale e denunciandone insidie e pericoli, mentre molti critici si affrettano ad individuare il successivo paradigma non trovando altra soluzione che apporre l’ennesimo “post-”: staremmo vivendo già in un’epoca postdigitale nella quale la spinta propulsiva, vitale e carica di futuro che il digitale portava con sé si rivela inconsistente, rovesciandosi in una retromania dilagante.
Sta di fatto che le griglie interpretative e le forme estetiche che nel digitale hanno trovato il fondamento e l’orizzonte di pensiero, mostrano ora la corda.
In questo scenario, Flussi 2013 intende posizionarsi in una prospettiva che riprende il percorso di sperimentazione iniziato già con le precedenti edizioni: ricerca di nuove visioni, nuove idee, nuove narrazioni, nuovi modi dello stare al mondo, nuove modalità di invenzione critica, attraverso l’uso ricombinante di riflessione e immaginazione.
Displaycement è innanzitutto un gioco di parole e quindi, come indicato da Wittgenstein, la produzione di una forma di vita e di un universo di senso. Displaycement è il situarsi in una prospettiva obliqua, fuori quadro rispetto alle narrazioni dominanti sulla cultura e le arti elettroniche/digitali, consapevoli che non è più sufficiente riferirsi al piano puramente tecnologico per individuare uno spazio di espressione e di invenzione. Questo significa forse prendersi meno sul serio e aprirsi all’inaspettato, all’irruzione del paradosso, dell’inutile, del fuori uso, di ciò che non ha ancora, o che non può avere, una collocazione nel circuito dello scambio economico o della sistematicità scientifica.
Displaycement spinge verso il dischiudersi di un’attitudine ludica, che nel piacere e nella distrazione estetica non veda una minaccia o il luogo dell’assenza di pensiero ma una messa in campo di forze propulsive e di un’intelligenza emotiva forse ancora poco esplorate e capaci di esprimere una controforza ( che non mira allo scontro frontale, non scava trincee, anzi fugge, schizza via, spiazza e agisce in spazi propri e con dinamiche autonome,libere,critiche e ludiche), una gioiosa resistenza antitetica, capace di pensare/creare/vivere il nuovo attraverso l’immaginazione, la consapevolezza, il gioco, il volo libero.