“Sono materialista perché non credo nella realtà.”

Michel Foucault

La “cultura digitale”, è ormai da molti dichiarata se non morta quanto meno in profonda crisi o di fatto transitata nella sua fase “post–”.

Perde pezzi, spazi d’azione e di pensiero, facendo pendere sempre di più l’ago della bilancia verso il polo negativo del suo disturbo bipolare: da un lato –quello propulsivo– ipotesi di emancipazione, collaborazione, creatività diffusa innescate dal potenziale rivoluzionario della macchine connesse, dall’altro –quello mortifero– puro strumento di calcolo e di cattura del lavoro vivo, delle esperienze e delle dinamiche sociali trasformate inesorabilmente in flussi di big data al servizio del mercato.

Ormai è chiaro, le macchine digitali che usiamo per creare, comunicare, espanderci sono esattamente le stesse che ci posizionano in un quadro di sfruttamento ed estrazione di valore di cui a malapena percepiamo l’esistenza e i confini.

E quanto più ci siamo dentro, quanto più la membrana digitale, a furia di socializzare ogni nostro atto, si stende tra noi e l’esperienza delle cose, meno ci accorgiamo di una lenta ma inesorabile perdita di realtà, di quella che molti (Berardi, Agamben, Stiegler etc.) hanno definito come una radicale de–eroticizzazione del mondo e del corpo collettivo.

E da dietro la membrana continua a fare pressione il reale, (qualcosa di molto difficile da definire ma, se proprio vogliamo provarci, si può dire che è ciò che continua a stare lì anche se hai smesso di crederci). Sotto forma di sintomo, di corpo, di trauma, di epifania, il reale torna sempre. Ed è forse lì, con i corpi e con le tecniche, che bisogna andare a scavare.

È proprio questo nesso, il ritorno del reale – il ritorno al reale, che Flussi 2015 si propone di esplorare, a patto di non cadere nelle trappole di un semplicistico, ingenuo “realismo”.

Realityvism, a cento anni dalla teoria della relatività, è piuttosto un’idea di realismo radicale, di un materialismo spinto in cui l’uomo non è più misura di tutte le cose, e le cose (se prese sul serio) ci rivelano le molteplici singolarità del Reale, un universo–mondo paradossale, selvaggio, contraddittorio, che nelle sue pieghe, nei “glitch”, nei mille piani, offre ancora ampi spazi di resistenza ai processi di anestesia e omogeneizzazione prodotti dagli algoritmi del potere.

E allora se la tecnologia è il pharmakon, veleno e cura al tempo stesso, si tratta di trovare in essa il rimedio, affinché la nostra socialità, reinventi pratiche e politiche che attraverso la rete escano dalla rete per contagiare i corpi e la vita.

Pratiche che per Flussi si realizzano principalmente nel campo dell’arte, da sempre luogo privilegiato di ricerca e sperimentazione, spazio terapeutico, liberatorio, vitalistico e rivoluzionario.

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